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sabato 25 aprile 2015

Denunce Sindacati e Confindustria

A chi non è capitato di mettere il naso fuori casa ed essere raggiunto da effluvi maleodoranti, e trovarsi circondato da una montagna di rifiuti accatastata e fumante? E chiedersi se i siciliani non stessero espiando peccati commessi in altra vita? Abbiamo provato a dare qualche risposta terra terra. Ci siamo arresi. Le ragioni del disastro sono tante e tali che è impossibile indicare qualcosa che le rappresenti tutte: le assunzioni scriteriate di personale, le clientele fameliche, la cattiva gestione delle risorse pubblico, il sottobosco criminale, l’incompetenza ecc. Accontentiamoci di illustrare lo stato dell’arte. La Sicilia ha detto “no” ai termovalorizzatori, e ha lasciato in stand by gli impianti di compostaggio e non ha adottato la raccolta differenziata. Nel 2002 la Regione fece una scelta di fondo: la realizzazione dei termovalorizzatori. Se ne programmarono ben quattro, megaimpianti che avrebbero richiesto una tale quantità di rifiuti da doverne importare da mezza Italia: quattro miliardi e mezzo di euro il loro costo. Un mega-affare, che fu fermato a cose fatte. Nel 2012 si scelsero gli impianti di compostaggio. Un cambio di strategia radicale. Sono state modificate delimitazioni geografiche di ambito/bacino e relative competenze. Nell’aprile 2001 furono costituiti i 27 ambiti territoriali ottimali (ATO), nel 2013 sono stati introdotti gli ambiti raccolta ottimali (ARO). I comuni hanno trasferito le competenze agli ATO nel 2001, nove anni dopo gli ATO hanno passato la mano ai Consorzi di Comuni (SRR), infine i Consorzi nel 2013 hanno trasferito tutto agli ARO. Un’autentica Babilonia, che ha lasciato tutto com’era.. Il sistema è rimasto infatti incentrato sulla discarica piuttosto che sul riuso e sull’utilizzo dei materiali, come avviene un po’ ovunque e come chiede l’Europa. Un sistema costoso e inefficiente, che ha provocato la catastrofe. “Il gravissimo dissesto finanziario delle Società d’Ambito”, denuncia la Corte dei Conti per la Regione Siciliana, “è derivato da un’incontrollata e dissennata lievitazione dei costi a causa, particolarmente, dell’eccessiva assunzione di personale, dei sovrabbondanti compensi ad amministratori, spesso privi di alcuna esperienza nel settore, con la conseguente necessità di affidare costose consulenze esterne, e della mancanza di ogni forma di controllo da parte degli enti locali…”. Requisitoria durissima. Secondo la Corte dei Conti “in Sicilia si è avuto il maggior rapporto di personale nelle attività di raccolta dei rifiuti a fronte delle più basse prestazione in termini di servizio reso”. Le “esorbitanti assunzioni, avvenute in violazione della normativa in tema di evidenza pubblica, in talune società d’ambito e/o Società affidatarie del servizio hanno riguardato personaggi legati alla criminalità organizzata”. Un quadro fosco. Ci sarebbe quanto basta per riempire le patrie galere, ma le diagnosi, pur puntuali da parte della Corte dei Conti e di quanti hanno avuto responsabilità di governo nel settore (prefetti, magistrati), non hanno mai superato “l’esame-finestra”: . un sistema sembra avere reso imperscrutabili le strade degli affari. Per anni, i riflettori sono stati puntati esclusivamente sulle discariche private, tre in Sicilia, piuttosto che sulle discariche pubbliche, nonostante queste ultime portassero il peso di consulenze, esternalizzazioni, esorbitanti assunzioni di personale. Occhi rivolti sul privato, oscurate le grandi infamie compiute nell’area pubblica. I dossier della CGIL, della CISL, di Confindustria, le relazioni della commissione d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti contengono quanto serve per rendersi conto di come stanno le cose, le ragioni della perenne emergenza, le inadeguatezze impiantistiche e gestionali. La Confindustria, come la CGIL e CISL, ha consegnato alla commissione d’inchiesta una relazione nella quale tra l’altro si sostiene che “imprenditori privati sono stati costretti a rivolgersi alla magistratura contro una regione inadempiente che per anni non da risposte e non rilascia le autorizzazioni richieste per l’avvio di impianti di compostaggio”. Gli imprenditori, sospettati di privilegiare le discariche, protestano per i ritardi nelle autorizzazioni degli impianti alternativi. “Non sono mai stati autorizzati, nonostante le nostre richieste gli impianti alternativi alla discarica e, cosa non meno grave, quelli esistenti non funzionavano e continuano a non funzionare”, scrivono nel loro dossier. “Le emergenze – secondo Confindustria – non solo non sono servite a migliorare il gap impiantistico, ma hanno comportato una generale deresponsabilizzazione”. La diagnosi di Confindustria non diverge da quella della CGIL, che denuncia le inadeguatezze impiantistiche e gestionali. La Commissione d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti sostiene che “in Sicilia il settore dei rifiuti… è organizzato per delinquere… La gestione di una discarica da parte di un gruppo criminale significa inevitabilmente che in quel territorio verrà ostacolata a tutti i livelli la raccolta differenziata e si farà di tutto per potere conferire in discarica quanti più rifiuti possibili”. Chi rema contro i percorsi alternativi alla discarica, impedisce il decollo della differenziata e la realizzazione degli impianti di compostaggio?

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